There is no general consensus on the use of growth factors (GF) in surgery.
ClinicalTrials.gov (http://clinicaltrials.gov), NCT01803360.
IntroduzioneLa rotula è funzionalmente inserita nell'apparato tendineo estensore e svolge la funzione di distanziatore, aumentando in modo significativo la forza in estensione (30-50%); essa è pertanto soggetta a importanti pressioni durante i movimenti di flesso-estensione (fino a 3,5 volte il peso corporeo). Questa premessa biomeccanica spiega come mai le cartilagini articolari dell'articolazione femoro-rotulea siano particolarmente spesse (5-6 mm a livello delle faccette articolari rotulee, 2-4 mm in corrispondenza della troclea femorale) per poter svolgere al meglio il ruolo di ammortizzatori. Inoltre la rotula deve scorrere in modo corretto nella troclea femorale al fine di minimizzare gli attriti che, provocando "impingement" sulle superfici articolari, portano a una progressiva degradazione della cartilagine con conseguente danno artrosico. Lo scorrimento è reso possibile da una serie di complessi fattori di stabilizzazione che contribuiscono a mantenere la corretta centratura della rotula rispetto alla troclea durante l'escursione dinamica dei movimenti. In particolare, va ricordato che, a causa del valgismo fisiologico nei primi 30°d i escursione del movimento di flessione, vi è una fisiologica, anche se modesta, tendenza alla lateralizzazione della rotula; nei gradi più spinti di flessione (fra 30°e 60°) compare un vettore diretto verso la troclea femorale (centripeto) che, crescendo progressivamente, stabilizza la rotula all'interno della troclea, opponendosi alla traslazione esterna. Dopo i 60°questo vettore si mantiene costante e ciò permette un corretto scorrimento, evitando condizioni di iperpressione che a loro volta possano degradare la cartilagine rotulea. Ne consegue che la massima instabilità rotulea, anche in condizioni fisiologiche, si realizza nei primi 30°della flessione, quando il vettore centripeto ha scarso valore funzionale [1,2]. Numerosi sono i fattori che presiedono al meccanismo di stabilità della rotula: 1) fattori conformazionali anatomici: esistono condizioni ottimali che, se rispettate, riducono la tendenza allo scarto esterno della rotula rispetto alla troclea durante i movimenti di flesso-estensione. L'asse meccanico dell'arto inferiore è, in condizioni normali, compreso fra 0 e 7°di valgismo. Ogni incremento di tale valore accentua la tendenza alla lateralizzazione, mentre invece il varismo facilita lo scarto medializzante della rotula. Effetti analoghi hanno condizioni che accentuano il disallineamento dell'apparato tendineo estensore, quali la traslazione esterna dell'apofisi tibiale anteriore o la rotazione esterna della tibia, come può accadere nei vizi torsionali. Anche la morfologia delle superfici articolari agisce come fattore stabilizzante; in particolare, la profondità del solco rotuleo (in condizioni normali 5-7 mm) e la maggior salienza della faccetta trocleare esterna permettono di opporsi alla lateralizzazione. Al contrario, condizioni anatomiche particolari quali la "rotula alta" o il "genu recurvato" accentuano l'instabilità; 2) stabilizzatori estrinseci: un ...
7I dischi intervertebrali sono strutture anatomicamente complesse, costituite da una porzione centrale ad alta idratazione, il nucleo polposo, e da una parte periferica di contenimento, l'annulus fibroso. Essi costituiscono nel loro insieme circa un quarto dell'altezza dell'intera colonna. I dischi sono integrati, da un punto di vista anatomico e funzionale, con i piatti vertebrali e svolgono importanti funzioni di "shock absorber" e di stabilità dell'unità elementare del rachide, costituendo la 1°e 2°colonna del modello funzionale di Dennis. Essi sono sottoposti, con l'invecchiamento, a un processo involutivo caratterizzato da progressiva disidratazione e perdita di proteoglicani, con un relativo incremento della concentrazione di collagene. La velocità di tale processo è variabile in rapporto all'uso (è più marcata nei casi di sovraccarico funzionale) ed è in rapporto ai gradi di libertà di movimento propri di ciascun settore del rachide (massimi nel rachide cervicale, minimi nel tratto dorsale). In tutti i casi l'involuzione determina una degradazione delle capacità funzionali del disco; ciò induce una patologica ipermobilità che, con un meccanismo di "feed-back" negativo, accelera la degenerazione, che si manifesta con una progressiva perdita di volume del disco, con manifestazioni osteocondrosiche sui piatti vertebrali, formazione di osteofiti, ipertrofia dei massicci articolari e, da ultimo, stenosi dello speco vertebrale [1]. Questo ciclo trifasico (disfunzione discale-instabilità segmentaria-rigidità segmentaria) ha riflessi clinici rilevanti sul piano epidemiologico. Negli Stati Uniti si stima che il dolore al rachide sia la seconda causa di visite mediche; l'80% della popolazione adulta ha avuto nel corso della vita almeno un episodio di dolore acuto al rachide, mentre il 5% ha problemi di dolore cronico. Manifestazioni caratteristiche della patologia discale degenerativa, spesso in fase precoce, sono la progressiva deformazione radiale del disco e la rottura dell'annulus, che determinano i quadri di protrusione e di ernia discale [2]. La diagnosi strumentale di sofferenza degenerativa del disco, e in particolare di protrusione o ernia discale, "topic" del presente articolo, può oggi essere effettuata in modo precoce, efficace e non invasivo grazie all'impiego della RM e della TC, tecniche che hanno fatto cadere praticamente in disuso la mielografia. D'altro lato non va neanche incoraggiato uno "screening" radiologico eccessivo nei pazienti affetti da "back pain", tenendo conto sia della prevalenza di malattia (si avrebbero costi sanitari elevatissimi sottoponendo l'intera popolazione sintomatica al test radiologico, senza il filtro preliminare di appropriati criteri di selezione), sia del fatto che le informazioni ottenibili non sempre modificano l'atteggiamento terapeutico [3]. Infatti le caratteristiche dell'ernia "per sé" non producono cambiamenti nell'atteggiamento terapeutico iniziale, che attualmente è comunque di tipo medico; la scelta chirurgica (nella quale, al contrario, è fondamentale la con...
Background Juvenile Idiopathic Arthritis (JIA) has been shown to involve the temporo-mandibular joint (TMJ) and the facial growth with a high frequency. Arthritis in this joint is often not associated with pain and clinical signs are usually poor Objectives To evaluate the validity of different TMJ screening methods we have studied 42 patients (32 female-10 male) mean age 15.1 yrs (range 6.8 -31.4), mean disease onset age 8.0 yrs (range 1-16) mean disease duration 6.6 yrs (range 0.1-21.4) Methods Our population included 42 consecutive cases of JIA without TMJ clinical symptoms (28 pauci, 9 poly, 2 systemic and 3 ERA HLA B27+). 28/42 patients (66%) showed an active disease with high flogistic indexes while in 14/42 (33%) the arthritis was inactive.23 patients were studied only with ultrasound imaging (US) of the TMJ, 9 cases performed only a MRI of the TMJ, while 10 patients have done the exams both.Finally 12 healthy subjects (7 female - 5 male) with a mean age of 11.3 yrs (range 5.0-21.0) were included in the study. 7 subjects performed only an US while 1 was investigated only with MRI. In 4 cases US and MRI were done together. The parameters calculated in both investigation were a) axial and coronal capsular and synovial thickening, b) erosions, c) synovial effusion, d) disc morphology and e) condylar translation movement Results Condylar translation was significantly reduced (p<0.05) in JIA pts (mean 7.60 range 0.1-12 SD 3.1) vs controls (mean 8.76 range 4-10.7 SD 2.2), axial capsular thickening was significantly increase (p<0.01) in JIA (mean 1.29 range 0.6-3.4 SD 0.5) vs control (mean 1.20 range 0.5-2.4 SD 0.5) and in the same way, coronal thickening was significantly (p<0.001) increased in JIA (mean 1.32 range 0.5-3.5 SD 0.5) vs control (mean 1.25 range 0.5-2.3 SD 0.4).Using MRI erosions were seen in 22/38 joints of 19 pts (58%)in the coronal section and in 18/38 joints (47%) in the axial section while normal condylar profile was seen only in 7/38 joints (18%) using both sections Conclusions In conclusion US and MRI seems to be useful exams to investigate TMJ involvment in JIA showing an high rate of abnormality also in asymptomatic pts Disclosure of Interest None Declared
IntroduzioneI processi degenerativi della caviglia possono interessare la componente osteoarticolare, le strutture tendinee e capsulo-legamentose o entrambe [1][2][3][4]. Le cause di un'artropatia degenerativa possono essere molteplici (Tab. 1). Tra tutti questi, i fattori estrinseci traumatici rappresentano, senza dubbio, i principali responsabili di un processo degenerativo a livello dell'articolazione tibio-tarsica. Radiologia tradizionaleL'iter diagnostico parte dall'esame radiografico con le due proiezioni standard A-P e laterale, eventualmente completato con le proiezioni oblique. Per valutare la congruenza della pinza malleolare è utile la proiezione "per il mortaio", che si ottiene intraruotando il piede di 20-25°; in tal modo si ottiene un riallineamento del malleolo peroneale con quello mediale e in queste condizioni la troclea astragalica è equidistante rispetto ai malleoli. Le alterazioni anatomo-patologiche che si verificano in corso di artrosi sono ben visibili all'esame radiografico tradizionale (Tab. 2, Fig. 1). Pertanto, già nello studio radiologico tradizionale, è possibile identificare e caratterizzare un processo degenerativo artrosico. Inoltre l'identificazione di segni specifici permette anche una valutazione della natura del processo. Per esempio, nell'artropatia neuropatica (articolazione di Charcot), già all'esame radiografico si evidenzia facilmente una maggior distruzione articolare, con sclerosi, frammentazione, collasso articolare e sublussazione (Fig. 2). La presenza di osteofiti isolati sulla superficie anteriore della tibia, nel collo dell'astragalo o in entrambe è espressione di una sindrome da conflitto anteriore [5], mentre una sindrome da conflitto posteriore può essere correlata alla presenza di un os trigonum o di un processo posteriore del talo prominente ( Fig. 3) [6-9]. La continenza della sindesmosi senza lesioni ossee è, come detto, ben valutata staticamente dalla "proiezione per il mortaio", in quanto permette di apprezzare lo spostamento mediale della tibia distale e l'aumento della distanza intermalleolare tibio-peroneale. Un ruolo importante nella valutazione dei legamenti è svolto dai radiogrammi dinamici realizzabili con apparecchiatura TELOS che, applicando mediante un dinamometro un carico determinato (15 kg), permette uno studio oggettivo dello stato legamentoso della caviglia. Vengono eseguiti due test in modo comparativo: • cassetto anteriore: serve per valutare l'integrità del legamento collaterale laterale. Nei casi in cui questo è normale, applicando una spinta anteriore sulla gamba in proiezione laterale il profilo dell'astragalo e quello della tibia restano paralleli, mentre nel caso di lesione PAA si osserva una distasi posteriore >8 mm. Diastasi più grandi depongono per una lesione anche del peroneo-calcaneare ( Fig. 4) • tilt astragalico: se lo stress è in varo si valuta l'integrità del legamento collaterale laterale. In particolare, se l'angolo tibio-astragalico in AP è compreso fra 10°e 15°, si è in presenza di una lesione isolata del ABSTRACT Imagi...
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