“…La politica socialista nelle aree montane si concretizzò dunque in interventi, diretti o indiretti, che in ultima istanza favorirono in molte zone la permanenza delle comunità autoctone nelle terre alte (Stan e Stewart, 2005): innanzitutto, la realizzazione di impianti industriali nelle città di fondovalle offriva spesso agli uomini -pendolari giornalieri tra montagna e città -un impiego stabile e remunerato, nell'ottica di economie di diversificazione basate sulla complementarietà tra redditi da agricoltura e da lavoro operaio (Randall, 1976); sempre l'intervento statale garantiva inoltre l'assorbimento di una quota di lavoratori nel settore forestale e della cura del territorio montano, oltre che nel settore minerario. In secondo luogo, l'infrastrutturazione delle zone montane messa in campo dal regime, in termini tanto materiali (strade e trasporti pubblici, che collegavano alle città anche i villaggi più remoti), quanto di servizi socio-sanitari e culturali (scuole, presidi sanitari, centri culturali rurali), pur essendo spesso di qualità mediocre, garantiva comunque quell'offerta minima e costante di facilitazioni, grazie alle quali era possibile continuare a vivere in montagna.…”