Chiedersi quali siano gli spazi del lavoro sessuale non significa domandarsi semplicemente dove ci si prostituisce, ma soprattutto interrogarsi sulle specifiche dinamiche che si innescano all'intreccio di geografia e prostituzione. Da dove partire quindi? Da casa. Chi si prostituisce, al contrario di quanto comunemente percepito, non vive costantemente in tacchi, minigonna e pelliccia su un marciapiede. Le lavoratrici sessuali affittano, comprano, abitano, occupano, vengono sfrattate, costruiscono reti di solidarietà. Il lavoro sessuale risulta quindi un prisma attraverso cui guardare criticamente ai regimi abitativi e ai loro limiti. Partendo da una disamina di testi accademici e non, l'articolo si propone di rileggerli mettendo la casa al centro, e propone quindi un'agenda di ricerca che, a partire dalle esperienze di chi fa lavoro sessuale, possa contribuire ad analizzare e scardinare dinamiche strutturali che determinano chi, come e quando è ammesso nello spazio urbano, in particolare quello abitativo.