“…Perciò, sì come quando uno loda sé stesso, allora si fa riputare per sciocco e vano, dovendo la vera laude non dalla propria, ma dall'altrui bocca uscire 677 ; così, quando vediamo ch'uno ha fatto ritrarre sé stesso, pare che in conseguenza venghi a dare un tacito giudicio di sé medesmo, di essere persona onorata, virtuosa o bella, il che non gli accresce, ma gli sminuisce il credito, parendo sciochezza ridicola che uno presuma tanto di sé stesso, che si reputi degno, per servigio del mondo, di stare in prospettiva degli altri per essere veduto et ammirato. E perciò leggiamo 678 che Acacio, patriarca Constantinopolitano, riputato prima persona molto veneranda per le religiose opere sue, avendo di poi fatta mettere l'imagine sua in varie chiese, subito s'acquistò il nome di vano et ambizioso; e per lo contrario è commendato assai Plotino 679 , che non volse mai lasciarsi ritrarre, dicendo che chi cerca con tal mezzo lasciare memoria di sé a' posteri suoi, mostra di conoscere poco la grandezza o bassezza delle cose, stimando ch'un dissegno fatto di così fragile materia sia bastante a conservare la fama sua longo tempo, e che a lui bastava pur troppo l'imagine che di continuo portava seco, accennando al corpo, nel quale, come troppo vile albergo, si vergognava che l'anima, cosa divina, stesse imprigionata. [p. 334] Il simile si trova scritto da S. Paulino 680 in una epistola a Sulpizio Severo, dal quale essendo stato con grande instanza ricercato che, poi che non potea goderlo di presenza, volesse mandarli il suo ritratto, egli cristianamente si scusa con varie ragioni, dicendo tra le altre: Quid tibi de illa, petitione respondeam, qua imagines nostras pingi, tibique mitti iussisti?…”